giovedì 18 dicembre 2008

Fare teatro in Italia

Mi tutelo da me stesso...
...casomai decidessi di fregarmi
di Tommaso Cardarelli
(fonte: www.ubusettete.it)

Tutto cominciò quel dì in cui vinsi il secondo di tre premi messi in palio in un concorso di corti teatrali. Al primo classificato spettavano sette giorni di repliche nel teatro ospitante, al secondo cinque, al terzo tre. Al momento del verdetto, ridendo e scherzando, (contento come chi arriva secondo e triste come chi non arriva primo) ricordo che dissi: “Mi sa che era meglio arrivare terzi... ah ah ah...”. Allora non avevo conosciuto ancora la SIAE. Oggi non rido più.

La SIAE che ho conosciuto io si presentò sotto le mentite spoglie di un ufficio piccolo piccolo, ficcato in un seminterrato triste di un’allegra e soleggiata strada della Roma bene. Non mi attendeva nessuna fila ma, piuttosto, una dolce ragazza in attesa di pargolo che mi fece accomodare sorridendo di circostanza. Tutto filava liscio, tanto che uno dei miei pensieri fu: “Lo vedi che le leggende sono sempre più crudeli della realtà?”. La ragazzetta mi illustrò i miei doveri e i miei diritti. Mi illustrò imiei doveri; per certi aspetti abbastanza arbitrari. Io, ad esempio, non ho ancora capito che tipo di parametri vengano usati per stabilire se una compagnia sia amatoriale o professionista. La futura mamma risolse la questione ammettendo che potevo decidere io in merito, che tanto non sarebbe cambiato nulla, se non una spesa di tre euro al giorno in più, nel caso in cui avessi deciso di dichiararmi professionista. Tuttavia, se ti incoroni professionista, nel caso in cui tu non riesca a raggiungere un tetto minimo di 50.000 euro di fatturato annuo, non hai diritto ai biglietti SIAE. Una compagnia che viceversa decida di autodeclassarsi al rango amatoriale, oltre a risparmiare qualche euro, ottiene (ta-da!) i famosi borderò.

Comunque sia la dolce ragazza mi riempì di fogli firmati e controfirmati scucendomi una somma che qui usano chiamare “deposito per i diritti d’autore” e che non starò qui a quantificare; ma che bastava a farmi capire che avrei lavorato per cercare almeno di riuscire ad azzerare le spese SIAE.

Alla voce “deposito” lo Zingarelli recita così: contratto col quale una parte (SIAE) riceve dall’altra (IO) una cosa mobile con l’obbligo di restituirla a richiesta o al termine convenuto. In realtà il deposito in questione rappresenta il minimo garantito da versare all’autore, quindi non solo non verrà mai restituito, ma anzi verrà
ulteriormente incrementato nel caso in cui gli incassi dello spettacolo superassero ogni aspettativa e mi coprissero di fama e di ricchezza. Nel caso del raggiungimento del tetto, infatti, alla SIAE spetterebbe non più il m. g., ma il 10% dell’incasso; al netto… come dire: se le cose ti vanno male io comunque devo avere i soldi, se ti vanno bene, io ne devo avere molti di più!

Ora, ciò che ha stampato sul mio volto l’incredulità, destinando la mia mandibola a lasciarsi andare e i miei occhi a sgranarsi basiti, è l’aver saputo che se la mia compagnia non fosse stato un piccolo gruppo senza sovvenzioni all’occhiello ma una
compagnia d’alto bordo, e se il teatro ospite fosse stato uno Stabile Nazionale, ebbene: in quel caso il trattamento SIAE sarebbe stato esattamente lo stesso. Per farvi capire: avendo a disposizione una platea di trenta posti, vendendo biglietti a
prezzi più che modici, stampando in proprio una decina di locandine fatte in un pomeriggio con photoshop, il parere della SIAE è che, grazie ai proventi del mio spettacolo, potrei benissimo permettermi di andare a cena con Lavia, che è appena uscito dall’Argentina scostando la gente, strizzando l’occhio al critico n.1, sorridendo al fotografo cool, stagliato sullo sfondo di una delle mille magnifiche locandine. Nella mia ingenuità mi chiedo: ma se alla SIAE spetta il 10% del netto
ricavato, perché deve esserci un minimo garantito che spezzi le gambe ed il fiato ad ogni piccola compagnia? Se il pubblico è dieci prende uno, se è cento prende dieci. Non sarebbe più semplice? Non garantirebbe a chi non ha risorse, agganci e sovvenzioni, per lo meno di credere di poter fare teatro?

Ma non è tutto. Ho anche appreso che, se il testo che andassi a rappresentare fosse il mio, registrato regolarmente alla SIAE da me medesimo, dovrei comunque auto-tutelarmi, quindi pagare il solito deposito e aspettare di riaverlo, non so dopo quanti mesi, come giusta auto-riscossione dei miei diritti d’autore, solo appena decurtato di una percentuale che qui non ci azzarderemmo certo a chiamare pizzo. Ovviamente non mi sarebbe permesso di rinunciare ai miei diritti di tutelato, così che, per evitare di fregarmi e di imbrogliarmi da solo, e a mia insaputa, devo pagarmi! Dov’è la logica? Se sono io stesso a recitare il mio testo, come fossi a casa, sotto la doccia a cantare una mia canzone, perché ad insaponarmi dovrebbe esserci l’ispettore SIAE (che magari fa anche cadere la saponetta)?

1 commento:

  1. Aggiungo solo che la S.I.A.E., al contrario quanto succede in altri paesi europei, ha il MONOPOLIO della gestione dei diritti d'autore.
    In questo paese abbiamo una strana idea di "privatizzazione": si vaneggia di privatizzare la sanità (secondo un modello di antitutela sociale che sappiamo a quali risultati porterebbe) ma non si tocca chi ci sfila il portafogli con tanta, consumata nonchalance. Prosit!

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