martedì 18 maggio 2010

Non di solo pane


  Volevo dirti. Dirti, le parole giuste. Volevo trovarle. Trovarle, nel palmo della mia mano. Invece rimango qui, seduto davanti a un piatto appoggiato sopra un tavolo opaco. Senza appetito.
  Non c’è granché, sul piatto. C’è il pasto che prendiamo da trent’anni. Sopra il disegno grigio dell’albero da frutto, c’è una piccola pillola fucsia.
  Trent’anni fa io avevo dieci anni e tu quasi sette. Provo a cercare negli snodi del mio cervello ma non lo trovo. Niente da fare, non riesco a trovare il sapore.
  Ricordi? Una volta il cibo aveva gusto. Trent’anni fa, quando il sapore sparì, io avevo dieci anni e tu pochi di meno. Né io né te lo ricordiamo.
  Sono certo che sia per questo che non riesco a parlarti. È la mia lingua, il mio intestino, il mio stomaco che si ribella a tutto ciò. In pochi millimetri il fabbisogno nutritivo di un’intera giornata.
  Non avrei mai pensato che le mie parole nascessero nei muscoli, nei nervi. Nello stomaco, nel fegato, nella vescica. Non avrei mai pensato che le mie parole nascessero dalla carne.

  Fuori c’è una città di vetro. La “rivoluzione alimentare” ha ridotto i rifiuti del 40%, ha aumentato i nostri spazi, ci ha donato più tempo. Vedo uomini e donne uscire di casa: hanno preso il loro monopasto quotidiano e stanno andando al lavoro. Alti, senza grassi superflui. Hanno una forma perfetta, si direbbe. Abbiamo stomaci diversi rispetto i nostri antenati: più piccoli. Più eleganti. Abbiamo lingue diverse: papille vallate, filiformi, foliate, trasmettevano tramite i nervi cranici dati al cervello.
  La metropolitana sfreccia pulita sulla monorotaia. “Siamo il cibo che ingoiamo”, penso. Oscuro il vetro. Si alza la luce artificiale. Le piastrelle lucide del pavimento riflettono la mia immagine filiforme. Sono anch’io così.
  Torno al mio posto, ma rimango in piedi.
  «L’invenzione del secolo!», dicono. Eppure io non ho più fame. Eppure io non trovo più le parole giuste per poterti parlare. Perché – lo so – tutto, era nel sapore.
  Il palmo della mia mano non ha più linee.

Andrea Cirillo
da La Luna Di Traverso, numero 12, Agosto 2005

giovedì 29 aprile 2010

Il rumore dei passi

La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio per ciò. Ma se tu mi addomestichi la mia vita, sarà come illuminata. Conoscerò il rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica.

Saint Exupéry, Il piccolo principe.

lunedì 12 aprile 2010

Storia delirante della letteratura: i classici russi.




A pagina 126 ho deciso di interrompere la lettura di Delitto e castigo. Io e i russi non andiamo d’accordo evidentemente. Pure con Anna Karenina è andata così. È più forte di me, inizio con i migliori intenti, rimango affascinato dagli incipit, ma poi mi perdo. Quando Raskolnikov fa fuori ad accettate quella vecchia bagascia dell’usuraia ho pensato di trovarmi in un film dei fratelli Cohen. Poi a pagina 126 mi sono rotto le scatole. Ho chiuso il libro e mi sono addormentato. Intendiamoci, non incolpo né Tolstoj, né Dostoevski, né il Cremlino: la colpa deve essere mia. Ciò non toglie che una qualche ragione ci sarà. Così mentre dormo rimugino sulla mia sconfitta.
È chiaro come la condizione umana sia centrale nella letteratura russa della fine dell’ottocento. L’azione è poco, è la scintilla, il più della vicenda accade dentro al protagonista. Ma non è questo che mi turba. Se riduciamo tutto all’azione dobbiamo descrivere Il vecchio e il mare come la storia di uno che pesca. La cosa che mal digerisco è l’assenza di sintesi.
L’edizione che ho comprato consta 412 pagine, il che vuol dire che ho letto poco più del 30%. In questo 30% tutto è dilatato, attraverso descrizioni e dialoghi che per il lettore contemporaneo - per me senza dubbio - risultano lunghi e dispersivi. Certo, i tempi sono cambiati, ammalati di consumismo e rifiutismo ci siamo assuefatti a ritmi più incalzanti. Basti pensare a quanto dura un’inquadratura cinematografica: mediamente dai sei ai nove secondi per un campo lungo e dai tre ai cinque per un primo piano. Cinema e tv inoltre hanno contribuito ad allargare l’immaginario collettivo. Se parlo di Parigi o del’India o di New York abbiamo tutti delle immagini in mente, anche se non ci siamo mai stati. Ad un bravo autore bastano poche e ben congegniate parole per richiamare quell’immaginario.
C’è di più però. Non dobbiamo dimenticarci che Delitto e castigo è nato come romanzo d’appendice. In quel contesto è chiaro che gli scrittori avevano tutto l’interesse a farla lunga. I romanzi d’appendice uscivano a puntate sui giornali: lunghezza uguale più uscite, più uscite più compensi.
Deve essere questa alchimia tra assenza d’azione e assenza di sintesi la causa del mio poco amore verso i classici russi del XIX secolo e non, per esempio, verso quelli francesi o americani. I francesi hanno intrecci più complessi, gli americani sono i dei maghi a sintetizzare.
Mi giro e mi rigiro nel letto. Sudo. Posso vivere senza leggere i capisaldi della letteratura russa? È possibile che autori che hanno influenzato numerosi scrittori e registi negli ultimi centocinquant’anni a me appassionino fino a pagina 126? Dove sbaglio? Cosa mi manca? Ricompongo in sogno un fatto accadutomi qualche anno fa. Era il 2007, lavoravo in un ufficio comunale che si occupava di cultura. Un giorno mi misi a parlare di libri con una mia collega. Lei mi disse che non leggeva molto, ma che adorava la letteratura russa. «Ora sto leggendo I fratelli Karamazov», mi disse «però ci sto mettendo un po’: l’ho iniziato nel 2001».
Mi alzo e vado al computer. Digito su google “leggere letteratura russa” e mi appare la foto di un Cupido morto, un orso addomesticato e Marcello Lippi. Qui la risposta non c’è. Forse è la costanza che mi manca. Oppure ho bisogno di una qualche letteratura-ponte che al momento ignoro. A gettare la spugna però non ci penso proprio. Per riconciliarmi coi russi ordino on-line un’edizione economica de Il cappotto di Nikolaj Vasil'evič Gogol'.
Spengo il computer. Cerco il numero della mia ex-collega. Chissà se ha finito I fratelli Karamazov.

Andrea Cirillo

martedì 23 febbraio 2010

Due nuove pubblicazioni!


Una è sull'ultimo numero della Luna di Traverso: un racconto breve dal titolo Una cosa muta. La seconda invece e sulla nuova antologia narrativa di Tapirulan. Non vi dico nulla sul racconto, perché è brevissimo.
La luna è già uscita, la trovate (a fatica) da Feltrinelli, altrimenti alla Mup, oppure on-line, cliccando qui. L'antologia di Tapirulan invece uscirà attorno a marzo ed il mio racconto sarà illustrato dal bravissimo Daniele De Batté.

lunedì 21 settembre 2009

Profeti


I profeti [...] insistevano sull'imminenza dell'apocalisse non perché sognassero allori accademici o volessero dar prova della loro capacità di previsione, ma in quanto speravano che il futuro dimostrasse che avevano avuto torto.

[...] Possiamo profetizzare che, a meno di essere imbrigliata e addomesticata, la nostra globalizzazione negativa, che oscilla tra il togliere la sicurezza a chi è libero e l'offrire sicurezza sotto forma di illibertà, renderà la catastrofe ineluttabile. Se non si formula questa profezia, e se non la si prende sul serio, l'umanità ha poche speranza di renderla inevitabile.

[...] Il secolo che viene può essere un'epoca di catastrofe definitiva. O può essere un'epoca in cui si stringerà e si darà vita a un nuovo patto tra intellettuali e popolo, inteso ormai come umanità. Speriamo di poter ancora scegliere tra questi due futuri.

Zigmunt Bauman, Paura liquida.

Su un muro di Lisbona.

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